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CUORE DI SEPPIA

Journal of poetry - ART - SPIRIT - LIFE



mercoledì 29 giugno 2011

E A U


A Dubai.
Per lavoro o forse no.
Tata di Mario e Maria Francesca.
A spasso per la città.
Mano nella mano.
Abbiamo offerto al dio Cupido "quello della freccia dell'ammore" un castello di conchiglie viola e due torri normanne sentinelle del tempo.
Ho fatto finta di svenire in acqua ripetute volte purché accorressero felici in mio soccorso.
Mangio patatine fritte e watermelon juice. Datteri e chocopops senza latte a colazione. Una dozzina di ringo prima di andare a dormire. Il più piccolo mi insegna a tenerli in bocca interi fino a farne una schifosa poltiglia succosa.
Fichissimo!
Eh sì, "Fichissimo" e "Scialla" li ho aggiunti al vocabolario.
Tengo il costume bagnato sotto i vestiti perchè fa figo e posso rituffarmi in piscina appena finito il pranzo. Fantastico con loro di solcare i mari dei Caraibi su una barca a vela, nonostante annaspiamo in tre su un materassino sgonfio verde bottiglia.
Ho spento il cellulare e non ho altro per la testa in questi giorni se non una gran voglia di lasciar correre tutto, non preoccuparmi di niente, perché nulla potrei avere adesso per essere felice. Ho due formidabili compagni d'avventure con la pelle scottata e qualche dente che penzola già.

domenica 19 giugno 2011

F r e cc i a r o ss a


Stampo i biglietti. Li tengo insieme tra le pagine dure di un’agenda mai usata. La porterò con me, perché forse nel viaggio avrò voglia di scrivere. E lo penso ogni volta, ma poi non ne ho. Rimane lì, sul fondo della sacca nera del Moderna Museet.
Col pigiama improvvisato da una vecchia tuta grigia e lo spazzolino che sa di casa quando a casa non è. Quindi Roma. La stazione è un formicaio infestato. Un vorticoso brulicare di teste a colori. Di valigie piene fatte in fretta, di tipi svelti con la voglia di cambiare, di partire, di lasciare indietro qualcosa che fa male o magari no. Di gente che saluta. Fa cenno con la mano che è ora. Che è stato bello. Che non importa. Che ci sarà ancora una prossima volta. Che Ciao, ci rivedremo, promesso. E perché no. Uno schieramento di forze asciutte che tolgono l’aria. Una minaccia. Un’onda cieca che trascina con sé. Un’ostruzione ruvida che ormai è già fuori. Al di là da me. Che dal posto finestrino della carrozza 9 in partenza sul binario 7 sono quasi al sicuro. Uno strattone. Un primo accenno. In movimento.
Il treno va. E per tre ore sarà così. Il paesaggio scivolerà sul vetro, ogni vagone avrà il suo pezzo di cielo, il passeggero che mi sta affianco il meritato riposo. Nessuno mi aspetta. Parto per incontrare qualcuno che non sa del mio arrivo. Non lo immagina, non sospetta di nulla. Parto perché Laura mi è rimasta nel cuore. E se posso farle una sorpresa oggi che il suo compleanno, non c’è vecchia rotaia di questo pazzo mondo che ci tiene lontane a poterlo impedire. Diretta a Nord. Contro ogni legge fisica che non sia d’attrazione. Un calamita libera scampata alla gravità. 300km/h, 4 minuti di ritardo, Milano Centrale. Che strano che fa. Appena piove. Una carica elettrica attraversa le dita. Lei arriva. Salto fuori. Ed è festa. Fino all’alba così. Come se niente ci avesse divise mai. Come se nulla fosse davvero cambiato. Ogni cosa fosse al suo posto, di nuovo. Un respiro profondo. Prima di tornare ancora. Fare indietro il tragitto. Ore di sonno mancate. Un ricordo magnifico in più.


Image by Jesper Waldersten

lunedì 6 giugno 2011

Ipotesi di insonnia


È una notte che rimugino nel buio.
Ci riprovo.
Mi concentro..
Respiro profondo // Respiro profondo
Nessuno sbadiglio.
02:00
Mia nonna lo diceva sempre che chi è stanco poi non dorme e se non dorme gli s’accozzano i nervi: "Io ce li ho già i penzieri miei" strillava "pe’ quelli nuovi non c’è mica spazzio". Agitava quelle mani in aria, s’allacciava il grembiule e tornava a cantare..
I me di de mo da mur.. Je vuà la vi e Rose.
"S’è affacciata?", chiedeva: "S’è affacciata?". La secca del secondo piano al ritornello compariva sul balcone, minacciava con pupille di malocchio e col manico di scopa assestava i colpi al pavimento. A me sembrava che tenesse il tempo. "Non regge che parlo il francese", sosteneva quella vecchia che trent’anni prima aveva spinto forte per far uscire mia madre. Ancora uno.
Ancora uno. All’ennesimo sforzo l’aveva ricacciata alla luce. Una lucertola nera. Un’erba amara sradicata. Ho sempre saputo di lei. Delle sue dita fragili, della sua malattia. Di quei lamenti trascinati a stento e incatenati al cielo. Non era che una pazza.
Ora è un’ombra. Aderente alla mia.
04:00
Nessuno sbadiglio.
Respiro profondo // Respiro profondo
Mi concentro..
Ci riprovo.
È una notte che rimugino nel buio.



Image by Barbara Giorgis
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